Day hospital? una tantum

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Roma, Borgo Pio, a 14-15 anni

1 febbraio 2018. Arrivo per la prima volta al Day Hospital (DH) dell’Ifo per fare il terzo ciclo di folfirinox. Sono sollevata perché in DH è tutto più facile. Si fa un po’ di fila, si aspetta un po’, ma in poche ore risolvi e torni a casa. E soprattutto hai tutte le date calendarizzate in anticipo.

Dopo un bel po’ di attesa, forse un’ora, passo la visita dall’oncologo e aspetto in un’altra sala che mi chiamino per iniziare la terapia. Mi fanno accomodare in un grande salone dotato di poltrone da chemio lungo tutto il perimetro. I parenti aspettano fuori. Ognuno ha la poltrona, e un trespolo, di quelli sui quali normalmente si appendono le flebo, da utilizzare come attaccapanni.

Accanto a me vedo una bellissima signora, tutta vestita elegante, curata, mi colpisce visto che a me non verrebbe mai in mente di curarmi così per venirmi a bucare. Mi sembra abbia più o meno la mia età. Scopro che si chiama Margherita, e da quel giorno diventerà il mio faro, anche se da quella volta ci siamo riviste una sola volta.

Margherita ha un tumore al pancreas. È la prima volta che incontro una paziente di “cancreas” come me. Scopro che lei è stata diagnosticata dieci anni fa, che è stata operata, ma il tumore è tornato, e comunque da oltre dieci anni ci convive, seguita dal mio stesso oncologo da lungo tempo.

Margherita è una giovane nonna, lavora, è bella, fa una vita normale e periodicamente deve riprendere le terapie. Sorride, ci riconosciamo in qualche modo. La sua esistenza mi fa capire che la vita e il cancreas possono serbare molte sorprese. Resteremo in contatto, a lungo, ne sono certa.

Margherita va via presto perché fa una terapia di mantenimento breve. Non senza esserci confrontate sul nostro oncologo: anche lei ha avuto con lui degli scontri, conferma che ogni tanto è un po’ ruvido. Ma lei, ancora più di me, ne conosce il valore professionale. Ne approfitto qui per rispondere a chi ha criticato Milella per come mi ha trattato, per come mi ha comunicato l’esistenza della metastasi al fegato e del cambio di strategia (vedere articolo “Doccia Fredda”).

Ero piuttosto arrabbiata anche io in quel momento, anzi no, non direi arrabbiata, ero sconcertata, ma io penso che lui avesse ormai capito chi aveva di fronte; non credo che si sarebbe comportato così con qualcuno non in grado di sopportarlo. E comunque nel corso dei mesi ha trovato più volte il modo per compensare quei giorni.

Non è il tipo che si scusa, non a parole, ma mi ha salvato la vita, per ora almeno. Fondamentalmente mi ha presa in carico. Io ho imparato a capire che anche se non lo vedevo perché magari non era di turno in reparto, magari per settimane e settimane, nei momenti clou spuntava fuori all’improvviso, mi svegliava e mi diceva di raggiungerlo per parlare di come procedere.

Gli altri pazienti questo non lo avevano. Non erano presi in carico. Non avevano un oncologo di riferimento, parlavano con chi era di turno. Anche quelli che erano stati ricoverati dopo una visita a pagamento in intramoenia o privatamente. Io invece sapevo che c’era lui di cui mi fidavo.

Ora che sono passati molti mesi e che di questo mondo so molte più cose, so anche che Milella viene considerato uno dei quattro migliori oncologi del pancreas in Italia. E se oggi sono ancora qui a parlare di lui è grazie anche alle sue scelte terapeutiche. E in fondo anche al modo in cui ha interloquito con me nei 9 mesi in cui mi ha seguito.

Torniamo al DH e alla chemio. i farmaci che mi iniettano sono diversi e la faccenda è lunga, tanto più se si inizia molto tardi. Passano le ore e piano piano le altre poltrone lentamente si svuotano. A un certo punto inizio a sentirmi strana, mi sento le palpebre battere, la faccia mi friccica, provo a parlare – ho ancora paura dell’ictus – e mi accorgo che la lingua mi si è come gonfiata, la voce mi esce ma parlo strano.

In quel momento, Danilo, il mio compagno è con me, per portarmi qualcosa da mangiare. Vede che sono un po’ spaventata e chiama una infermiera. Ormai ero rimasta l’unica paziente. L’infermiera, immagino su indicazione di un oncologo che io non vedo, mi interrompe la chemio e mi inietta un antistaminico. Ci sono infatti persone allergiche alla chemio.

E cercano di far arrivare un neurologo, ma a quell’ora non c’è. Quindi ci accontentiamo di un neurochirurgo, che mi guarda, mi fa mettere in equilibrio su un piede, etc. Cercano di capire se ho avuto un altro ictus o se era allergia. Ma alla fine nessuno si prende la responsabilità di mandarmi a casa, e così mi ricoverano in osservazione in reparto. Il reparto solito, di oncologia medica 1.

Ci resterò parecchi giorni, mentre mi rifanno la risonanza magnetica alla testa. E valutano la situazione. Si scoprirà poi che semplicemente ho problemi quando mi iniettano l’oxaliplatino, quindi me lo devono infondere molto lentamente, 5-6 ore. In questo modo non ho reazioni. Ma ciò ha significato dire subito addio al DH: l’orario di apertura è troppo corto per potermi fare la chemio in tante ore (perché l’oxaliplatino è solo uno dei farmaci).

Quindi uscirò con l’incarico di far rivedere la risonanza magnetica alla neurologa del San Camillo, Sabrina Anticoli, considerata più brava di quella interna dell’IFO. E con l’invito ad aspettare la prossima telefonata per ricovero tra due settimane.

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