La vita d’ospedale

A partire da dicembre 2017 sono entrata e uscita molte volte dal reparto di Oncologia medica 1 dell’IFO, per fare la chemio e gli accertamenti. Ogni volta per almeno 3 giorni, a volte fino a 12.

Nel reparto ci sono una decina di stanze, da due letti ciascuna. Il reparto è misto. I ricoverati sono tutti oncologici, chi in fine di vita, chi per accertamenti, chi per fare chemio. Non ci si entra in situazioni di emergenza, perché all’IFO non c’è il pronto soccorso. Quindi funziona che devi aspettare la telefonata della caposala, che ti comunica che per il giorno dopo c’è posto per te. A volte la chiamata arriva pure per lo stesso giorno.

La mattina del primo ricovero, entro in reparto accolta da Mariangela, la caposala. Riempio una lunga serie di scartoffie e vengo mandata in camera con l’indicazione di spogliarmi. Chiedo sorpresa perché mi devo spogliare. E Mariangela a sua volta mi guarda sorpresa. “Beh, per questioni igieniche sarebbe il caso che ti mettessi il pigiama, perché non si va a letto con i vestiti di fuori”.

Capisco che a voi sembrerà assurda la mia posizione ma, dal momento che io fino alla sera prima ero fisicamente in buone condizioni, svolgevo una vita normale, uscivo, guidavo, lavoravo, l’idea del letto non mi era proprio balenata. Ma entrando nella stanza mi rendo conto che gli ospedali sono pensati per le persone allettate, e che invece io mi devo trovare una alternativa.

Quindi mi organizzo subito per farmi portare da casa una tuta comoda, le crocs per muovermi senza sentirmi malata con le pantofole (a casa non le uso le pantofole, vado scalza o con gli anti-scivolo). Vi sembrerà una questione secondaria, ma secondo me la questione del letto è importante. In ospedale se in una stanza c’è quasi solo un letto, si tende a trascorrere la giornata sdraiati a dormicchiare o guardare la TV. E questo non fa per niente bene, se tu fino al giorno prima avevi una vita piuttosto attiva. Entri subito subito nella modalità “malattia“.

Quindi fin da subito decido che io a letto ci vado solo per dormire e che il pigiama me lo metto solo per dormire. E mi è stato molto utile. L’ospedale può curare, può guarire, ma può anche uccidere.
Naturalmente io mi sono portata il computer portatile, l’ipad, il cellulare, una presa multipla, il kindle. Insomma mi sono portata l’ufficio appresso e ho lavorato quasi sempre.

E al secondo ricovero uno degli infermieri mi si avvicina e mi chiede “che lavoro facevi?* Capisco subito che tra infermieri hanno scommesso sulla mia professione. In tutto il periodo in cui sono stata all’IFO non ho visto nessun altro con il computer, figuriamoci una con tutta quella tecnologia. Che però è ciò che uso normalmente nella mia vita quotidiana.

*Che lavoro facevo??? Per poco non me lo mangio l’infermiere. Non so se usa l’imperfetto perché pensa che sono vecchia e ormai in pensione, o se lo fa perché è abituato al fatto che i malati oncologici non lavorino. Gli spiego che FACCIO la traduttrice. (“Aaah che bello, conosci le lingue”). Inutile approfondire la questione e spiegare che traduco testi di finanza da inglese o francese. Comunque gli sembra bello il mio lavoro. E tanto mi basta.

Gli infermieri sono l’anima del reparto. E la spina dorsale. Mariangela, la caposala fa orari d’ufficio, dalle 8 alle 15,30 dal lunedì al venerdì. Poi ci sono una decina di infermieri che fanno i turni due per volta, dalle 7 alle 14, 14-21 e poi 21-7. In questo reparto tutto il personale è interno, segno che il primario, Cognetti, ha un certo peso in questo ospedale. Mentre altri reparti hanno un’elevata percentuale di infermieri mandati da cooperative.

Gli infermieri sono quasi tutti maschi, solo tre sono donne. Al contrario, scoprirò mesi dopo che in Day hospital le infermiere sono tutte donne, senza eccezioni. Perché in DH non si fanno turni di notte o festivi. Quindi se hai figli o genitori anziani da accudire, lavori in DH (e guadagni molto di meno).

Piano piano ho iniziato a conoscerli tutti, persone molto diverse, grandi lavoratori, piuttosto umani. Mica è facile lavorare in un reparto oncologico. Noto che le coppie tendono a essere fisse. Ci sono i due calabresi, molto calabresi, che quando attaccano la mattina presto si sentono subito che sono arrivati, perché parlano a voce altissima. C’è l’infermiere gentile che ha paura di farti male, quello che invece va dritto al punto. L’infermiere più sindacalizzato, l’infermiera tosta ma molto brava a insegnare ai colleghi apprendisti.

Capisco subito che per cavarsela bene in un ambiente come l’ospedale è essenziale capirne i meccanismi di funzionamento, l’organizzazione, le gerarchie, le regole, i rapporti. Analizzare anche il dietro le quinte. E questo mi è stato poi di aiuto per riuscire a superare le incertezze, la burocrazia, gli intoppi. Anche se le organizzazioni non gradiscono che tu li analizzi, consiglio a tutti di studiare il contesto in cui si trovano in cura.

2 Commenti

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María Josérispondi
30 Giugno 2019 a 08:49

Questa cosa del “si metta il pigiama e vada a letto” l’ho vissuta esattamente come te. Non aiuta di certo dover premere il pulsante “malattia-on” per giorni, costretti dai protocolli, quando fino a un attimo prima si è stati in attivo. Anch’io ho fatto come te quando per un motivo o un altro sono stata ricoverata, e la mia sigaretta (quando potevo) me la andavo pure a fumare. La mia esperienza è che si tiene botta per un po’; dopo, man mano passano i giorni, è più difficile mantenere il proprio ritmo in quell’ambiente, perché l’ospedale di per sé stanca e annoia, come se le ore non passassero mai. La sera, poi, tutto spento sin da prestissimo (‘na noia mortale) e la mattina all’alba non ti lasciano dormire tra porte che sbattono, infermieri che si parlano ad alta voce da una all’altra parte del corridoio. In generale, mi è sempre toccato individuare da sola gli infermieri umani per evitare nel possibile gli altri. In realtà mi sono accorta che sono proprio gli infermieri (e molto meno i medici) che si fanno il vero mazzo.
Mi sono chiesta come mai gli infermieri che lavorano dalle 21 alle 7 facciano più ore degli altri!
Ah, mi hai fatto ricordare che, da ricoverata, mi saliva moltissimo la pressione. Si preoccupavano i medici e mi preoccupavo io. Tornata a casa, tutto tornava alla normalità. 🙂 Era solo nervoso e ansia da ospedale!
Grazie per scrivere, Francesca. La tua esperienza serve anche a me. Molto di più di quanto possa immaginare.

Francifishrispondi
30 Giugno 2019 a 15:52
– Rispondi a María José

Gli infermieri del turno di notte all’IFO riescono anche a dormicchiare. Una volta fatto il giro di medicazione, poi per ore devono solo rispondere ad eventuali chiamate. E comunque ruotano tutti sulle notti. Il grosso del lavoro è la mattina, Praticamente tutti hanno le chemio da fare.

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