Aggeggi cinesi, medici, ER
Il 12 dicembre 2017 scendo al reparto di chirurgia in day hospital dell’IFO, dove impiantano i port-a-cath. Un gentile infermiere mi mostra come è fatto il port e mi spiega come funziona, firmo i fogli ed entro in sala operatoria. Mi tolgono gli occhiali (e quindi a quel punto mi si annebbia tutta la visuale). Da questo momento sparisco come essere umano per una quarantina di minuti, forse meno. E resto solo come corpo.
Il chirurgo, che non cito perché non so chi fosse, inizia il suo lavoro praticamente senza rivolgermi la parola, parlando con l’infermiere, Cristiano, poi rivelatosi molto gentile, una volta finita l’operazione.
Per tutto il tempo, nessuno mi racconta quello che sta per fare. I due parlano fra loro e a un certo punto il dottore chiede a Cristiano di passargli quell’aggeggio. Non so cosa sia l’aggeggio in questione, so solo che è cinese e che la conversazione è tutta incentrata sul fatto che
“finalmente questo è l’ultimo aggeggio della fornitura, e meno male perché sono proprio cinesi e non tagliano niente. Ma possibile che per risparmiare dobbiamo comprare questi accrocchi?!“
E intanto taglia. E a me ad un certo punto prende a ridere. Provo infatti a traslare la situazione in una sala operatoria del telefilm E.R.: il risultato è talmente paradossale che non si può che ridere.
Mi ricuciono con un filo nero, con un segno enorme tipo le cicatrici dei pirati (poi quando toglieranno il filo, farà meno impressione, ma non molto meno).
Finita l’operazione si ricordano che lì c’è una persona e mi invitano ad alzarmi e rivestirmi. Non si pongono per niente il problema che hanno appena operato una persona, sveglia, mentre criticavano – perché poco funzionanti – gli strumenti che stavano utilizzando.
In attesa del portantino che mi riporti in reparto (perché in ospedale se sei ricoverato non puoi passare da un reparto all’altro da sola, qualcuno ti deve accompagnare), chiedo un po’ d’acqua da bere, e con questa insolita richiesta mi guardano persi. L’acqua c’è perché c’è un lavandino con rubinetto in una stanza, ma non esistono bicchieri. Per trovarne uno ci sono voluti oltre dieci minuti…. Negli ospedali, come vedrò nel tempo, c’è un problema non indifferente con l’acqua da bere.
Con il senno di poi, nelle settimane successive mi rendo conto che avrebbero potuto chiedermi se sono mancina o destra, prima di impiantare il port. Lo hanno impiantato a sinistra, così perché il chirurgo preferisce operare da quel lato, ma in realtà se sei mancina, è meglio averlo dall’altra parte cosicché non venga schiacciato dalla cinghia della borsa e nel mio caso anche dalla cintura dell’auto. Non casca il mondo, è un dettaglio. Ma i dettagli contano.
3 Commenti
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Questo tipo di cose, alle quali si potrebbe badare anche solo mettendo un po’ di buona volontà (e di sensibilità) mi fanno pensare a quello che si suol chiamare “valore aggiunto”. Della serie, quando arriva una parola gentile, sembra quasi che sia qualcosa in più rispetto al dovuto. In realtà le cose non stanno così: in Medicina, quando si ha davanti un essere umano, peraltro ammalato e magari stanco e sensibile al massimo, i dettagli, le parole inutili, il bicchiere d’acqua, l’attenzione alla persona non dovrebbero essere considerati valore aggiunto bensì valore intrinseco, dovrebbero essere scontati. Se non altro, quando si vivono queste esperienze personalmente (e si subiscono) una cosa si impara sicuramente: non comportarci noi con gli altri nello stesso modo, qualsiasi lavoro facciamo. Provare a mettersi nei panni di chi ci tocca assistere, in qualsiasi ambito, darebbe, fra l’altro, maggiore dignità a chi lavora, in particolare quando si ha a che fare con un essere umano e sollievo a quest’ultimo. Non ci vuole tanto. Solo un po’ di sensibilità, di amore. A volte mi chiedo cosa si portino a casa, questi “automi”, alla fine di una giornata lavorativa. La tua esperienza mi ha fatto ricordare il film “Un medico, un uomo” (The Doctor) https://www.youtube.com/watch?v=hj_3bmfAyag che ti consiglio.
I dettagli contano, eccome! Grazie ancora, Fra, per aver condiviso.
Ti leggo sempre con molta attenzione e molto affetto, Francesca.
Miiiiiiiii…. viene un brivido per l’aggeggio-accrocco, santo cielo!