Per chi suona la campanella…

Tantissimi anni fa ho fatto un sogno che non ho più dimenticato. Avrò avuto forse 25 anni. Ho sognato che un dottore mi diagnosticava che avrei avuto tre tumori. Da lì a qualche tempo, indefinito. E che un po’ di tempo prima che questi tumori si “attivassero” il mio corpo mi avrebbe mandato un segnale, una specie di campanella, per avvertirmi che da quel momento in poi avrei avuto poche settimane o mesi di vita.

Però il tema centrale del sogno era ragionare su cosa avrei fatto al suonare della campanella, cioè come trascorrere le ultime settimane o mesi di vita. Tutto questo con estrema calma e in modo molto razionale.

Mi era chiaro innanzitutto che avrei dovuto allontanarmi dalla mia famiglia per non farla soffrire.

Viaggiare? Io che amo viaggiare, mi sono detta che se non puoi condividere il tuo viaggio con gli altri al tuo ritorno, in fondo non ha molto senso. Ho poi scartato altre ipotesi proprio per il fatto che l’assenza di futuro rendeva quel presente poco sensato.

Non ricordo tutti i dettagli, è passato troppo tempo. Ma ricordo la conclusione. Ho deciso che aveva senso trascorrere le ultime settimane ad aiutare bambini. Aiutare a vivere era una cosa che aveva senso comunque (anche se tu non hai futuro, aiuti gli altri a crearsene uno migliore), e avevo deciso che il rapporto dei bambini con un adulto malato fosse più spontaneo (nel mio sogno non mi vedevo allettata in fin di vita, ero più o meno come sono oggi, cioè apparentemente sana).

Trovata la soluzione per il mio “fine vita” mi sono svegliata. E mi sono svegliata assolutamente serena, anzi, ero proprio contenta. Sicuramente perché sapevo benissimo che non ero malata, ma è anche vero che dal sogno mi ero svegliata tranquillizzata.

Non esistono i sogni premonitori, naturalmente. Ma ho voluto raccontare questo episodio perché quel sogno è emblematico di come sono fatta io, e come ero già decenni fa.

Adolescente. La versione di me che preferisco in assoluto.

In teoria, questi che sto vivendo sarebbero i mesi dopo la fatidica campanella del sogno. Ed è vero ancora che più volte ho pensato di partire per dare una mano dove serviva. Non lo faccio per alcuni motivi: 1) sto spesso sotto chemio, e quindi difficilmente posso allontanarmi per più di due settimane, mentre vorrei dare una mano in paesi dove veramente hanno bisogno; 2) per aiutare in quelle situazioni non basta essere buoni, bisogna anche essere competenti e io non credo di esserlo più; 3) se vuoi aiutare devi essere in condizioni fisiche tali da non pesare sugli altri, e io non credo di esserlo.

In realtà quando hai un tumore al pancreas, nessuno si aspetta da te gesti di altruismo. Già il fatto che vivi la vita sorridendo ti fa passare per una vera eroina. E quindi la tentazione dell’egoismo è notevole. Io cerco di compensare un po’ aiutando il Centro Baobab, quando posso, facendo donazioni alle ONG che salvano persone in mare, come Mediterranea o Open Arms, e promuovendo le loro attività. Oltre alla mia partecipazione attiva ad Acta, per migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori freelance come me.

Quello che ho meno voglia di fare in questa fase è lavorare, io che ho lavorato moltissimo (faccio la traduttrice di testi finanziari) per tanti anni. Ora lo faccio perché devo. Vivo del mio lavoro, ho una famiglia da mantenere. Però sul serio, quando sei malata vorresti veramente dedicare il tuo tempo a cose più sensate che tradurre testi di finanza.

Ciò che mancava totalmente nel mio sogno da ragazza erano i miei amici. Non me lo spiego come io abbia potuto immaginare un pezzo di vita senza persone conosciute. Mi ci ha fatto ripensare in questi giorni il collega ed amico Andrea Spila che ha appena inaugurato il suo blog: la nostra rete di amici e colleghi è ciò che ci permette di lottare, vivere, superare gli ostacoli, sognare e lavorare per un mondo migliore.

Io sono particolarmente fortunata, perché ho una rete di amici, parenti e colleghi fantastici. Ma mi sto rendendo anche conto che l’esperienza anomala che sto vivendo in questi mesi mi ha portato a conoscere altre persone straordinarie, che non avrei mai incrociato altrimenti. E mi ha indotto a fare cose che non avrei fatto in assenza della campanella di cui sopra.

Io mi sto divertendo. La mia vita ora è più sensata di quella che trascorrevo due anni fa. È più consapevole, di sicuro. Più lenta, più piena. Sto approfittando a piene mani del fatto che tutti mi trattano benissimo, tutti sono gentili, quasi nessuno litiga più con me. Vivo in una specie di bolla di positività.

I malati di tumore al pancreas fanno questo effetto alle persone. Ti appiccicano il bollino della malattia oncologica grave, molto grave, che induce il mondo a trattarti con i guanti. Ma in fondo tutti dobbiamo morire prima o poi. A noi lo hanno detto in modo più esplicito, ma tutte le persone anziane vivono con questa spada di Damocle. E non mi pare che godano di tutta questa gentilezza di cui mi abbevero io ogni giorno.

In realtà ho scoperto che se non ti lasci sopraffare dal panico, poter beneficiare del suono della famigerata campanella è un gran privilegio. Per fortuna neanche nel sogno era chiaro quanto tempo avessi a disposizione dopo. E questo tempo me lo sto prendendo tutto.

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