Riflessioni e reazioni sulla vita e la malattia

Ho una madre iper-ansiosa, da sempre, su tutto. Forse per questo, ma anche per la mia indole assolutamente razionale, tendo ad avere reazioni molto molto lente ai fatti imprevisti che mi capitano. A volte mi spavento della mia mancanza di iper-reazioni, mi chiedo se sono anaffettiva. Ma poi alla fine decido sempre che io sono così, e che mi piace essere così.

Avendo fumato moltissimo per tanti anni (ho smesso 7-8 anni fa, quando ormai ero arrivata a fumare due pacchetti di sigarette al giorno), il pensiero del cancro era sempre presente nella mia vita. Ogni tanto prima di addormentarmi, pensavo spaventata all’idea di avere un cancro ai polmoni. Però poi quando ad esempio facevo i controlli per il tumore al seno, andavo serenamente, come per sbrigare un obbligo, senza alcun timore dell’esito.

Come ho reagito all’ipotesi iniziale e poi alla conferma di avere un tumore al pancreas? Lo so che quello che scriverò suonerà estremamente banale, buonista e un po’ finto, ma è proprio quel che è accaduto.

In occasione dell’ecografia, vedendo lo sguardo triste della radiologa, avrei voluto consolarla, e dirle di non preoccuparsi per me. Ho sempre pensato di voler tornare da lei e ringraziarla della gentilezza. Prima o poi lo farò.
Dopo il referto della Tac, quando ormai era sicuro, pur non sapendo con chiarezza quel che mi aspettava, ho pensato che in fondo c’era una giustizia riparatrice nel mondo.

Ho incontrato molte donne malate, arrabbiate, furenti per quel che era accaduto, che si chiedevano “perché proprio a me?”. Beh, io no. Ero consapevole che non avevo certo fatto di tutto per evitarlo: fumato molto, fatto poca attività fisica negli ultimi anni, alimentazione non sempre sana. Ho pensato che avevo vissuto 52 anni da persona privilegiata, con nonni morti anziani, padre morto già oltre gli 80 anni, figlio sanissimo, io mai neanche una influenza, condizioni economiche più che dignitose, cittadinanza in un paese con un SSN universale, che copre le malattie gravi.

Insomma, quanti al mondo possono dire di avere altrettanto? Non lo so ma non credo che sia più del 10% della popolazione mondiale. E posso io lamentarmi o arrabbiarmi se dopo 52 anni è toccato anche a me condividere un po’ di difficoltà? Ho pensato alle donne alle quali nasce un figlio malato e che trascorrono la vita a vederlo soffrire. E ho deciso di prenderla sorridendo.

Mi dispiace molto per mia madre, e la cosa più difficile di tutto questo periodo è stato dirlo a lei, guardarla negli occhi mentre le davo questa pugnalata.

Spero di riuscire a non sbilanciare troppo mio figlio e la sua vita futura, ed è un aspetto sul quale mi concentro parecchio. Confido anche molto nella mia rete sociale, che contribuirà ad ammortizzare le sue difficoltà.

Ho anche deciso di non informarmi in rete sulla mia malattia (quando mi cadeva lo sguardo su qualche informazione, chiudevo subito), non ho mai chiesto neanche ai dottori quali prospettive avessi. Ho scelto di andarci per gradi e di vivere senza pianificare. Cosa per me molto difficile, perché sto sempre a programmare il prossimo viaggio, la prossima riunione, ma ho imparato presto.

Proprio questa mia reazione, molto di presa d’atto, mi ha fatto capire però che normalmente quando tocchi l’argomento tumore, inneschi delle reazioni immediate negli altri, il cielo subito si copre di una cappa grigia e triste, e tutti ti trattano come se stessi sull’orlo del baratro. E quindi ho capito subito che dovevo disinnescare questa trappola se volevo vivere serenamente (anziché sopravvivere con angoscia per qualche mese a una malattia grave in attesa di morire).

E quindi ho iniziato a dirlo a tutti, apertamente e serenamente, e a scherzare del tema, come avrei scherzato su altro. E ho cercato di togliere il disagio degli altri nel chiamarmi. Mi sono messa nei loro panni, e ho riconosciuto di non essere stata una grande amica di persone malate di tumore: non sai mai cosa fare, sei un po’ spaventata, temi di disturbare, temi che chiamando scopri che è morto. Volevo evitare che i miei amici facessero come me, che si chiedessero con timore l’un l’altro se fossi ancora viva. Che iniziassero a parlare con me solo di tumori e malattie.

Avevo bisogno di loro, ed ero consapevole che la mia famiglia ristretta – madre (ansiosa che già aveva vissuto questa storia), sorella (all’estero), compagno (con tanti problemi da affrontare già di suo) e figlio (adolescente) – non sarebbero riusciti da soli a gestire il peso della mia malattia. E quindi li ho coinvolti tutti, gli amici di una vita, o di diversi pezzi della mia vita, i parenti più stretti, etc.. Ed è grazie a tutti loro se sono riuscita a restare serena, io e la mia famiglia, e anche a vivere questi mesi in modo pieno, interessante e persino divertente. In fondo, li ho vissuti come avrei dovuto vivere i 52 anni precedenti.

Ho anche io alcuni momenti di paura, ma sono passeggeri. E mi prendono soprattutto se sto a casa a crogiolarmi nello status di “malata di tumore da compatire”: dopo 3-4 ore mi convinco di stare con un piede di qua e uno di là e ho bisogno di conforto. E per fortuna lo trovo sempre.

Ho imparato che, come dice Michele Reni, quel che fa paura è soprattutto l’incertezza, il dubbio. La conoscenza e la verità (e gli amici) invece aiutano a stare meglio.

Mi diverto però a sfruttare a mio vantaggio il clima compassionevole diffuso nella società. Se sto in un ufficio pubblico e c’è qualche ostacolo burocratico da superare, la testa pelata e lo sguardo da “ho un cancro, potrei essere in fin di vita” riesce a superare qualsiasi difficoltà. Garantito.

4 Commenti

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Peter Freemanrispondi
15 Giugno 2019 a 18:45

E il lavoro come sta andando? Ce la fai a stargli dietro?

Francifishrispondi
16 Giugno 2019 a 16:04
– Rispondi a Peter Freeman

Lavoro di meno, sono più selettiva. A volte non mi va per niente. A volte invece non riesco a concentrarmi. Altre volte lavoro bene, concentrata e volentieri.

Elenarispondi
15 Giugno 2019 a 18:56

Cara, potentissima Francesca, ti seguirò qui. Ho saputo della malattia solo da due giorni e in modo “virtuale”, come del resto sono stati negli anni i nostri contatti, quasi sempre mediati da un pc. Ti scrivo in privato. Ti abbraccio Elena

Silvia Acquistapacerispondi
16 Giugno 2019 a 20:47

carissima, Francesca, capisco bene il tuo atteggiamento verso la malattia, che suscita in tanti orrore e paura, e condivido con te l’astuzia di utilizzare talvolta la notizia della malattia per ottenere vantaggi impossibili altrimenti. Confesso di averlo fatto anche io una volta, per bloccare una che sempre si lamentava di tutto, e ti auguro con tutto il cuore di uscirne presto guarita e serena e di passare con tuo figli e il tuo compagno tanti anni sereni ancora

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