Estote parati

1987

Anche se in questo periodo sono molto impegnata a fare mille cose, a conoscere tante persone bellissime, a creare nuovi ricordi, sto anche ripensando e ricordando molte cose del passato. Un po’ perché in questa fase sto fisicamente incrociando persone che non vedevo da decenni, e un po’ perché a volte i nuovi amici fanno domande e spesso si stupiscono.

Un mio amico si è sorpreso nello scoprire che sono stata scout anzi, come diciamo noi, sono scout. Ho deciso quindi di descrivere a Piero cosa è stato per me lo scoutismo. Ma lo scrivo anche per me, perché è importante attribuire meriti e responsabilità.

La mia prima esperienza risale a quando ero molto piccola, forse sei anni, ho frequentato per un anno i lupetti, nello scoutismo americano a Beirut. Poi ci sono ricaduta, costretta dalla famiglia ad andare al campo estivo con il Reparto del Roma IX dell’AGESCI,  a dodici anni, e ci sono rimasta per dieci anni.   

Per me scoutismo ha voluto dire impegnarmi a lasciare il mondo migliore di come l’ho trovato;
imparare da giovane a fare l’educatrice;
imparare a usare le mani, nel senso migliore del termine: costruire un fuoco da campo, cucinarci, montare tende, accendere fuochi, costruire una tenda su una palafitta, i nodi poi sono una cosa utilissima nella vita (quasi più della matematica), assemblare una spina elettrica, aggiustare una presa.

Mi ha insegnato a conoscere un po’ di più la natura e a rispettarla.
Ad amare il fuoco. Le stelle. Quanto sia bello dormire all’addiaccio d’estate.
Ad avere le mani e le ginocchia graffiate per aver raccolto legna per il fuoco, e non curarsene. A sciacquarmi di primo mattino le mani graffiate e il viso con l’acqua minerale della sorgente e sentire le bollicine sui graffi.

A camminare sotto la pioggia per ore per arrivare a destinazione, senza lamentarmi per cercare di tenere su chi mi camminava a fianco.
L’autonomia. Il saper fare da sé ma imparare a condividere con gli altri.
A sciogliere la neve per cucinare.
A farsi prendere in giro per anni perché una volta sei svenuta davanti a tutti, e la tua fotografia con le braccia incrociate sul petto, neanche fossi morta, è presente su tutti gli annali del gruppo.

A camminare al passo del più lento.
A parlare in pubblico, a cantare, a recitare. A cercare di tirare fuori quel minimo di fantasia che hai sepolto da qualche parte.
A bere dalla stessa borraccia.

Ho imparato il senso di responsabilità individuale.
A rispondere dei miei comportamenti.
A mettere in discussione le gerarchie perché, seppure in apparenza connotato da molte regole, lo scoutismo ai miei tempi era un luogo di democrazia (non che non lo sia adesso, solo che non lo frequento da 30 anni).

Ho imparato che attraverso il gioco si imparano molte cose,
che stancarsi non è un male, anzi.
Che quando pensi di non farcela più a camminare, in fondo hai ancora qualche sprazzo di energia per proseguire.
Che lavorare insieme è più divertente che farlo da sola.
Ho imparato a organizzare, a prendere l’iniziativa.
Ho imparato a non scoraggiarmi quando ti perdi nel bosco e hai 15 anni e la responsabilità di altri 5-6 più piccoli di te da riportare a casa.

Ho imparato a chiedere aiuto alle persone.
Ho imparato (anzi ho avuto la conferma, perché lo sapevo già) che maschi e femmine possono fare le stesse cose, ma che è importante vedere maschi e femmine più grandi di te che le fanno, perché solo così capisci che è normale.
Ho imparato che a 21 anni puoi avere la responsabilità di un gruppo di 30 ragazzi per due settimane, ma non da sola.
Che non c’è mai bisogno dell’uomo forte al comando, ma di una comunità che insieme riflette, discute, decide, impara, cresce.
Ho imparato l’importanza delle regole, anche per superarle.

Ho imparato che le cose importanti vanno progettate, e poi analizzate ex post per capire come fare meglio la volta successiva.
Lo scoutismo mi ha insegnato che occorre essere competente, ma anche saper fare tante cose.
Mi ha insegnato a mangiare cose che prima mi facevano schifo.
Ho imparato il nonsenso del consumismo e il senso dell’essenzialità (ed è la cosa che più ho difficoltà a praticare nella vita di tutti i  giorni).
Mi ha insegnato a rispettare gli altri.
Mi ha insegnato che potevo (e, anzi, dovevo) essere una bella persona anche senza credere in un dio (pur essendo una associazione cattolica).  E che potevo anche essere una brava capo scout senza essere credente, in un’associazione cattolica.

Mi ha insegnato il senso della politica come indignazione per le ingiustizie e impegno per combatterle. (grazie Flavia)
Mi ha fatto conoscere tantissime persone che non avrei altrimenti incrociato nella vita – e questa è cosa essenziale.
È stato il luogo dei miei primi amori e dei miei primi rapporti sessuali (per discrezione evito di inserire il link agli interessati ;-).

Mi ha permesso di fare delle esperienze uniche, bellissime.
Ha insegnato ai miei genitori a emanciparsi dal ruolo di genitori chioccia: non sapere dove fossi e cosa stessi facendo. A non avere sempre il controllo su tutto ciò che mi riguardasse. A mandarmi alle uscite invernali in tenda anche se pioveva, faceva freddo o c’era la neve.

Mi ha insegnato a discutere, a litigare, a difendere le mie idee.
A fare un passo dopo l’altro.
Mi ha insegnato che quando ti senti sopraffare dalla stanchezza, cantare aiuta a vedere le cose da un’ottica migliore.
A bere la grappa quando fa freddo.

E ad essere pronta. Pronta ad affrontare l’imprevisto, per quanto possibile.

Però non mi ha insegnato la puntualità….

1 Commento

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Lidiarispondi
22 Luglio 2020 a 23:48

Accanita campeggiatrice, non sono stata scout. Mio padre però era uno scout e grossomodo lo è stato dal 1937 al 1951. Posso affermare che un genitore scout è una risorsa enorme per i propri figli.

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